Scienza e fede, carità cristiana e rigore professionale. La figura di Giuseppe Moscati, medico e santo, è tra le più note e affascinanti del mondo cattolico e cristiano contemporaneo.
Nato nel 1880 a Benevento, ma napoletano d’adozione, era il settimo di nove figli di un magistrato. Il lavoro del padre lo portò a spostarsi molto spesso e dal capoluogo sannita si trovò dapprima ad Ancora e poi a Napoli. Proprio qui conseguì la laurea in medicina e iniziò a lavorare agli Ospedali Riuniti. Trasferitosi all’ospedale “degli Incurabili”, il Santa Maria del Popolo, diventò primario. Attorno a lui, il fermento scientifico faceva riferimento al materialismo, così lo spazio per la Fede, tra i suoi colleghi, non c’era.
Eppure, in lui, il barlume della santità gli era già riconosciuto in vita: da un lato, le grandissime doti professionali che gli valsero la stima di Antonio Cardarelli, un luminare dell’epoca; dall’altro, la carità e l’umanità sono suoi caratteri distintivi. Nelle sue visite domiciliari, l’onorario era regolato da un cestino sul quale campeggiava la scritta: «Chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda». Un’impostazione che si associava all’aiuto spirituale fornito dopo le cure, al malato e alla famiglia.
Considerato tra i padri nobili della moderna biochimica, prima di ogni autopsia rendeva omaggio al corpo che aveva davanti con il segno della croce. Morirà a soli 47 anni, nel 1927: 60 anni più tardi sarà Papa Giovanni Paolo II a proclamarlo santo.